Si è chiusa lo scorso 21 aprile, a Montalto Uffugo in provincia di Cosenza, la fase diocesana del processo di canonizzazione del servo di Dio mons. Gaetano Mauro, il fondatore del Missionari Ardorini. Alla solenne Celebrazione eucaristica presieduta da mons. Salvatore Nunnari arcivescovo di Cosenza e Bisignano, di numerosi altri vescovi e della Congregazione ardorina quasi al completo intorno al superiore generale p. Ermolao Portella, l’arcidiocesi di Crotone e Santa Severina era rappresentata da un’ampia rappresentanza di Petilia Policastro che, guidata da parroco ardorino p. Salvatore Cimino. Una presenza, quella petilina, che non poteva certamente mancare considerato che la casa petilina fu la seconda casa aperta dai Missionari Ardorini il 7 ottobre 1938 quando i figli spirituali del “Decano Mauro” arrivarono nella cittadina dell’alto Marchesato crotonese su invito dell’allora arcivescovo Santa Severina mons. Antonio Galati e grazie alle donazioni delle signorine Ferrari su iniziativa dell’arciprete cittadino don Salvatore Venneri. Erano gli anni a cavallo delle due guerre mondiali, anni travagliati nel rapporto fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. In quei lustri, infatti, il Vaticano era impegnato nella stipula di quei concordati che le avrebbero sancito libertà d’azione nelle Nazioni europee, dopo che la prima grande Guerra aveva ridisegnato confini ed idealità dei vari Stati. Negli stessi anni, in Italia come in altre Nazioni europee, fin dai primi anni del fascismo si fossero appalesate differenze fra il magistero della Chiesa ed alcune idealità dei nuovi regimi totalitari, come l’ esaltazione della violenza e del nazionalismo, ma ciò nonostante fu forte l’attrazione della gerarchia ecclesiastica verso il fascismo, come scriveva Arturo Carlo Jemolo secondo cui quello del fascismo rappresentava per il Vaticano una sorta di “male minore” rispetto a forme “altre” di potere. In questo contesto, a fianco dei contadini calabresi, spicca, appunto, la figura di mons. Gaetano Mauro che fece della difesa delle classi subalterne come i giovani e la gente dei campi la ragione prioritaria della propria vocazione sacerdotale. "La vita rurale – osservava mons. Mauro - o è vita di fede o è vita di tormento. Le privazioni che impone il vivere tra i campi, se non sono confortate, impreziosite dalla fede, diventano insopportabile strazio. La solitudine dei casolari deserti, se non è riempita di Dio, è desolante deserto”. “Le stesse opere sociali e ricreative, create per l’elevazione per il sollievo degli abitanti delle campagne - aggiungeva mons. Mauro - sono, da sole, insufficienti. Noi siamo stati chiamati per riempire questa solitudine, portando a chi tanto ne ha bisogno, fin nel suo casolare, il pensiero di Dio, la parola di Dio, la presenza di Dio”.[1] “All’affacciarsi sul campo di don Mauro nel profondo Sud della sua Calabria – osserva il domenicano p. Vincenzo Romano – accanto a preti pieni di iniziative, c’era anche un clero fiacco, carente per zelo e per cultura, tutto ripiegato sulla propria vita quieta e senza preoccupazioni, che si limitava ad amministrare i Sacramenti. Oltretutto, erano ritenute fortunate le famiglie i cui figli entravano nello stato clericale, perché così facendo garantivano loro un futuro, moderato ma socialmente vantaggioso”. Per padre Romano, dunque, “c’era solo da guardarsi attorno per accorgersi del bisogno di riqualificarsi, in ordine all’apostolato parrocchiale e pastorale, ma anche di inserirsi adeguatamente nella nuova realtà socio religiosa, presente ormai anche in tutto il Meridione d’Italia con caratteri di preoccupante urgenza". “Prima che don Mauro se ne facesse carico – aggiunge lo storico domenicano – fondando per loro uno speciale Istituto di Missionari rurali, i contadini rimanevano “esclusi” dai benefici della cultura e della civiltà, e persino della stessa pastorale della Chiesa organizzata, com’è noto, solo all’interno dei centri urbani, trovandosi a vivere nei loro casolari, “dispersi” nei vasti territori lontani da tutto e da tutti”. Nato a Rogliano il 13 aprile 1888, Gaetano Mauro fu ordinato sacerdote il 14 aprile del 1912. Dopo una breve presenza a San Giovanni in Fiore, , don Gaetano Mauro arriva a Montalto Uffugo nel 1914 dove fu nominato parroco della parrocchia di Santa Maria Assunta e decano della Collegiata. In vero, il primo rapporto con la cittadina, dove rimase sino alla morte del 31 dicembre 1969, non fu affatto facile. Ciò a causa della presenza alquanto forte della massoneria, ma anche a causa di lunghe liti nel clero cittadino che avevano sfiduciato i fedeli. Dopo la parentesi della prima guerra mondiale che lo vide prigioniero in Germania nel campo di sterminio di Katzenau, don Mauro intensificò a Montalto quell’ apostolato in favore della gioventù che gli meritò il titolo di “don Bosco della Calabria” e della gente dei campi avvicinata, sostenuta e catechizzata nei casolari. Descrivendo le motivazioni che lo avevano spinto a una nuova Congregazione religiosa, mons. Mauro osservava anche l’impossibilità per i sacerdoti del suo tempo di ben operare in solitudine in favore del mondo rurale. “Uno dei motivi che ispirò al principio la nostra opera fu il pensiero di tanti cari confratelli nostri che spesso isolati, incompresi, privi di mezzi in paeselli di campagna, trovano gravissime difficoltà ad esercitare con efficacia il proprio ministero e a sopportare pene inevitabili di un apostolato complesso e faticoso, sogniamo di poter venire incontro a tante difficoltà”.[2] A questo scopo, fin dal 1926 il progetto di don Mauro era stato quello di “riunire sacerdoti, professionisti, operai e contadini che si consacrino interamente ad una intensa azione apostolica morale e religiosa ed organizzare un metodo pratico e costante di insegnamento catechistico”. Di tale apostolato è testimone Petilia Policastro dove fin dal proprio arrivo, i Missionari Ardorini iniziarono il proprio apostolato fra le genti dei campi e fra i giovani accolti nella casa della stessa congregazione attigua alla parrocchia di San Nicola pontefice dove, nel corso dei lustri, gli stessi Ardorini hanno visto germogliare numerose vocazioni. Francesco Rizza