Il culto della Madonna di Capocolonna alle origini della diocesi di Crotone.

 

Maggio, un po’ ovunque nella Cristianità, è il mese della Madonna. A Crotone, forse, un po’ di più particolarmente quest’anno che cade la festa settennale in onore della Madonna di Capocolonna. Il culto della Madonna e del suo dipinto conservato nel  Duomo cittadino, infatti, è parte integrante non solo della devozione, ma della storia cittadina.  

 

Era il 4 aprile del 1979 quando papa Giovanni Paolo II firmava il decreto“Quo aptus”dal quale sarebbe nata l’arcidiocesi di Crotone e Santa Severina che, nella forma attuale, fu canonicamente eretta dalla Congregazione dei Vescovi il 30 settembre 1986. Esecutore del processo di unificazione fu mons. Giuseppe Agostino che il 12 marzo 1987 redasse l’atto relativo alla nuova arcidiocesi divenendo, di fatto, il primo arcivescovo di Crotone e Santa Severina. Della nuova arcidiocesi facevano parte l’Arcidiocesi metropolitana di Santa Severina, alcuni comuni della diocesi di Cariati che allora si trovano nella provincia di Cosenza e la diocesi di Crotone. Della nuova Arcidiocesi fa parte un territorio poco più grande dell'attuale provincia di Crotone inglobando le cittadine Botricello, Andali, Cerva e Petronà. Per quanto riguarda la storia della Diocesi di Crotone questa fin dalla propria fondazione sembra essere stata suffraganea della Metropolia di Reggio Calabria da cui oltre a quella crotonese dipendevano le suffraganee di Bova, Cassano, Catanzaro, Gerace, Oppido, Nicastro, Nicotera, Tropea e Squillace.

Mentre l’origine leggendaria della Diocesi crotonese si collega all’età apostolica e a san Dionigi l’areopagita convertito da san Paolo, i primi dati certi e, probabilmente, la sua fondazione risalgono al V secolo d.C. in piena età bizantina, come sottolinea padre Ferdinando Ughelli nella sua “Italia Sacra” datata 1721.  “L’episcopato crotonese – osserva il dotto Cistercense, pur ricordando la leggendaria fondazione da parte di Dionigi – è antichissimo e collegato agli stessi tempi apostolici ed ebbe dei suoi vescovi, ma tuttavia ciò non risulta nulla su di loro prima dell’anno 537. Fu, infatti, in quell’anno che Giovanni vescovo di Crotone prosperò al tempo di papa Vigilio.

Nel 680 al tempo di papa Agatone Pietro partecipò al sesto Concilio di Costantinopoli ed allo stesso modo Teofimo vescovo crotonese era presente al Sinodo niceano al tempo di papa Adriano. Quindi – aggiunge l’Ughelli – possediamo poche notizie di vescovi di questa diocesi sino all’anno Mille quando era collegata alla suffraganea della Chiesa di Reggio”. Se si guarda al “Regesto Vaticano per la Calabria” di padre Francesco Russo il primo dato registrato per la diocesi crotonese si ha al tempo della dominazione bizantina quando, nel luglio 592, essendo sommo pontefice Gregorio Magno, “Giovanni vescovo di Scilla da’ mandato affinché sia visitata la diocesi di Crotone e se ne curi l’elezione del Vescovo”. Lo stesso p. Francesco Russo, descrivendo la partecipazione dei vescovi calabro greci ai concili svoltosi fra il VI ed il XIV ricordando la partecipazione di Giovanni vescovo crotonese al concilio di papa Vigilio (dove firmò la condanna di Teodoro di Cesarea di Capadocia) ritiene che lo stesso prelato sia di origine gotica ma ciò nonostante ed amico di Cassiodoro.

Per quando riguarda, invece, il vescovo Pietro che prese parte al sesto Concilio di Costantinopoli, padre Russo nota che proprio in questo Concilio si sancisce per la prima volta denominazione di Calabria per la nostra Regione. “I vescovi di Locri, Torri, Tauriano, Tropea e Vibona – osserva lo Storico francescano – si dichiarano dell’ Eparchia o Provincia di Calabria, mentre quelli di Cosenza, Crotone, Squillace e Temsa sottoscrivono come rappresentanti della Provincia del Brutium. Se si considera la posizione dei due gruppi di Diocesi appare chiaro che la regione era divisa in due zone distinte: la Calabria a sud e ilBrutium a nord dell’istmo di Catanzaro”.

Tornando alla descrizione che p. Ferdinando Ughelli fa della Diocesi crotonese nella sua“Italia Sacra”, lo stesso storico ricorda la presenza nella cattedrale crotonese di un “dipinto miracoloso della Madonna chiamata di Capocolonna che da Dionigi l’aeropagita fu portato dall’Oriente e dipinto dall’evangelista san Luca”. Al tempo del Frate cistercense i sacerdoti che celebravano nella stessa cattedrale appartenevano alle seguenti dignità: arcidiaconato, diaconato, cantorato, arcipretrato, tesorierato e primiceriato. Totalmente, nel XVI si contavano nella diocesi di Crotone 20 sacerdoti compresi i canonici della cattedrale e delle 12 parrocchie che vi erano esistite precedentemente ne erano rimaste in vita cinque. Fuori dalle mura cittadine, sempre al tempo dell’Ughelli, l’unico centro abitato della diocesi citato è Papanice dove a sua detta celebravano due sacerdoti: uno di rito greco ed uno di rito latino”.

Alla leggendaria storia di san Dionigi l’areopagita è collegata quella del dipinto della Madonna di Capocolonna che rappresenta, senza ombra di dubbio, il simbolo della fede crotonese. Un’antica tradizione vorrebbe, infatti, che il dipinto mariano fosse opera di san Luca evangelista che lo avrebbe donato allo stesso san Dionigi.  Il dipinto della Madonna di Capocolonna è, invece, un dipinto ascrivibile alla fattura bizantina e lo storico crotonese Angelo Vaccaro evidenzia come lo stesso dipinto “debba andar distinto in due fatture diverse e specifiche: dalla testa fino al sommo del petto, col volto del Bambino e l’insieme della sua sagoma, è esplicito fare di un’arte bizantina tardiva. Il resto è forma evidentissima di susseguente rifacimento”. 

Secondo vari storici a donare alla città di Crotone il dipinto della Madonna di Capocolonna potrebbe essere stato Luca da Melicuccà (1035 - 1115), primo vescovo di Isola Capo Rizzuto e già abate del monastero benedettino su cui, fra il X e l' XI secolo, fu costruito il Duomo cittadino. Ciò spiegerebbe anche il fatto che lo stesso duomo non era posto nel centro cittadino, ma in una zona periferica. A rinforzare l’attribuzione del dipinto a tale Presule, come evidenzia il Vaccaro il fatto che “il suo biografo, chiamato Daniele, ci conferma che egli aveva particolare devozione per il culto della Vergine, Madre di Dio, il che consentirebbe la espressa nostra supposizione. Ed è ancora più strano che tutte le Madonne assegnate a costui sono state attribuite poi a S. Luca Evangelista, come si disse anche di quella di Bologna (Opus Lucae Cancellarii), o quella del Libano di Luca l’Eremita”. Francesco Rizza